Insegnamogli a piangere e a gridare… a scuola di emozioni
Fortunatamente possiamo dire che ormai nelle scuole dell’infanzia è abbastanza consolidata la pratica di educare l’emotività dei bambini. Non possiamo dire con altrettanta certezza che questo percorso di potenziamento della competenza emotiva continui anche nella scuola primaria; di sicuro non viene assolutamente sfiorata nelle scuole secondarie.
Eppure è scientificamente provato che l’abilità di riconoscimento e comprensione delle proprie emozioni, il buon uso del lessico emotivo, la capacità di regolazione dell’emotività, influiscano profondamente su altre competenze come quelle di tipo linguistico, cognitivo, sociale. In effetti un bambino che conosce i propri stati d’animo sarà in grado di riconoscere quelli degli altri, quindi stringerà rapporti equilibrati e stabili con i suoi coetanei e con gli adulti; il che lo porterà a vivere le esperienze scolastiche e non in modo sereno e significativo.
Ma a che serve costruire relazioni efficaci? La risposta in ambito scolastico è talmente ovvia e banale che va necessariamente ribadita. L’apprendimento in contesti di tensione o conflitto è vuoto, scialbo, povero, superficiale. Al contrario, quando il bambino o ragazzo impara in un ambiente rasserenante, accogliente e accudente, ma non per questo meno sfidante, l’apprendimento è significativo, incarnato e duraturo.
Partiamo, ovviamente, dalla convinzione che lo sviluppo psicologico di ognuno di noi è condizionato dall’ambiente in cui viviamo. Ambiente fatto dalle persone che ci stanno intorno, quindi da relazioni tra noi e gli altri. Questo significa che l’adulto gioca un ruolo di primo piano nell’evoluzione psicologica del bambino: non basta che la maestra di matematica sappia insegnare la matematica, insomma; deve sapersi relazionare, essere empatico, comprensivo, aperto verso chi ha di fronte, riconoscere i suoi interlocutori e mettersi nei loro panni, vivere le relazioni come luoghi in cui apprendere dagli altri.
In questo conflitto positivo con l’altro che chiamiamo relazione, ciascuno perde e acquisisce qualcosa, in un meraviglioso e indimenticabile scambio di risorse e potenzialità. Cresciamo insieme, adulti e bambini, costruendo relazioni profonde, riconoscendo e accogliendo i limiti, nostri e dell’altro.
Naturale conseguenza di questo lavoro sinergico è che il bambino apprende di più e meglio, ha più voglia di studiare e imparare e, naturalmente, sa costruire rapporti importanti e duraturi.
Alfabetizzazione emotiva significa tutto questo. E se i genitori, con il loro modo di stare in relazione con il piccolo, sono senza dubbio fondamentali, anche la scuola svolge un ruolo importantissimo anche perché, da quando abbiamo perso il senso del cortile e della piazza, spesso è l’unico luogo di vera socializzazione. Già dai primi anni di vita, nella scuola dell’infanzia, attraverso i laboratori espressivi gli insegnanti possono proporre percorsi che permettono ai bambini di conoscere e riconoscere in sé e poi negli altri le emozioni da cui sono attraversati, le sensazioni corporee, i segni somatici che consentono di definire le une e le altre, per insegnare a regolare le emozioni vivendole senza farsene sopraffare.
Cosa è un laboratorio espressivo? Un’attività strutturata, programmata e progettata dall’insegnante, in cui il bambino ha un tempo e uno spazio adeguati per ascoltarsi e ascoltare, per definire il proprio stato d’animo e comunicarlo in modo efficace. Inserisco in questa categoria, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, il laboratorio della narrazione e del far finta, il laboratorio del disegno, il laboratorio di manipolazione materiali.
Ciascun laboratorio permette al bambino di sentirsi e di vedere l’altro, di gestire in varia misura ciò che gli accade intimamente, di esprimere con competenza il proprio vissuto.
Purtroppo salendo di grado nella gerarchia scolastica questo approccio scompare, e tutte le energie didattiche sono profuse ad approfondire, migliorare e allargare l’apprendimento cognitivo. Eppure le competenze scolastiche sono strettamente correlate alle abilità emotive e sociali. E se gli attori della scuola si impegnassero a ritagliare un tempo e uno spazio dove consentire agli alunni di riconoscersi e comprendersi profondamente, nella reciproca accoglienza, la nostra scuola sarebbe una scuola migliore.